L’INCHIESTA DI REGGIO E IL LATO OSCURO DELL’EDITORIA CALABRESE

di Luciano Regolo

Sono giorni tristi per la stampa calabrese. La vicenda dell’inchiesta reggina sull’intreccio tra politica, ‘ndrangheta e massoneria, ha aperto un nuovo squarcio anche sul pericoloso e costante disegno di certi poteri occulti di addomesticare a proprio piacimento l’informazione locale. Una giornalista era stata assunta al Garantista già con l’intento di essere molto favorevole ai personaggi indicati dagli inquirenti come i perni del sistema criminal-affaristico. La stessa, come provano le intercettazioni, si è data molto da fare per riabilitarne l’immagine e infangare invece quella dei loro avversari. La mia memoria corre al convegno di Polistena del 7 agosto 2014 e all’intervento in quella occasione del magistrato Nicola Gratteri, il quale, coraggiosamente, faceva notare come quei cronisti che in modo irresponsabile si mettevano a disposizione dei mafiosi per le varie distorsioni mediatiche, non solo nuocevano alla legalità e alla giustizia, ma rendevano sempre più pericoloso e acuto l’isolamento di quei giornalisti che, invece, con veemenza e serietà deontologica cercavano e scrivevano la verità, anche quella più scomoda. Ebbene, in quella occasione Piero Sansonetti, allora direttore de Il Garantista, il quale non era stato per nulla menzionato da Gratteri, scrisse un insulso e inaccettabile editoriale contro il magistrato, addirittura definendolo un “cinghiale”, più temibile e minaccioso nelle pressioni che avrebbe inflitto al suo quotidiano di quei personaggi che avevano brigato prima per la censura e poi per la chiusura dell’Ora della Calabria durante la mia direzione. Non so se almeno questa volta Sansonetti arrosisca. Non credo. Alcuni tra i suoi pupilli, perni dell’edizione calabrese del Garantista, si beccano via face-book, ognuno scaricando sull’altro il barile della responsabilità degli articoli pro ‘ndrangheta. Ricordo che uno di loro, vanesio e barboso, che ora conciona di “onestà intellettuale”, scriveva dei significativi post ai colleghi durante l’occupazione della redazione dell’Ora della Calabria in segno di protesta dopo il caso Gentile e il tentativo di acquisire la proprietà del giornale, da parte di Umberto De Rose, lo stampatore che finse un guasto alle rotative per non fare uscire la notizia dell’apertura di un’indagine a carico del figlio del senatore cosentino di Ncd. Per convincerli a seguire lui e Sansonetti nella nuova (dis)avventura del Garantista, li esortava a non stare a sentire quelli come me e di fregarsene di certe utopie, perchè “noi giornalisti, al fondo, come le lucciole (l’espressione originale era molto più greve,ndr) andiamo con chi ha i soldi”. E proprio questa mentalità ritengo la principale causa di oscuri servilismi a mezzo stampa come quelli emersi nell’inchiesta di Reggio. Ma il pericolo purtroppo non è né isolato, né tramontato. Mi dicono che lo stampatore censore dell’Ora (che poi stampò anche il Garantista sansonettiano e ha ricevuto praticamente gran parte delle sovvenzioni statali alla stessa testata ora fallita senza che gran parte dei giornalisti sia stata mai pagata) adesso muoverebbe le fila, assieme ad altri sodali di vecchia data, di un nuovo progetto editoriale per la Calabria. L’amministratore in pectore che propone già accordi lavorativi ai confini della legalità ai potenziali redattori è lo stesso che i colleghi gabbati del Garantista ricordano bene. Il direttore che lo guiderebbe ha un nome roboante e degno di stima, noto sul piano nazionale, per seguire la ricetta e il modello sansonettiano. Speriamo che il candidato a differenza di Sansonetti non faccia finta di non sentire e non vedere e s’informi, si renda conto di che cosa e con chi lo stia facendo. Resta in ogni caso da chiedersi perché De Rose abbia così interesse a stampare nuovi giornali anche se poi destinati alla chiusura, anche quando (come ai tempi del suo sodalizio con i Citrigno) gli editori non garantiscono affatto il pagamento del dovuto per la stampa: c’è forse un qualche mistero legato ai contributi nazionali o regionali? Più volte ho posto questo quesito anche alle autorità competenti senza mai ricevere risposta. Ma forse il fatto più inquietante non è la coazione a ripetere di tutto un mondo nascosto e “affratellato”, quanto la coazione di quei colleghi che alla fine si lasciano sempre imbrigliare in progetti poco chiari, non solo traballanti da un punto di vista aziendale, ma anche d’incerta finalità. A loro mi rivolgo con particolare slancio: non lasciatevi di nuovo ingannare. Capisco la voglia di fare il proprio mestiere, capisco la passione che si mette nell’idea di una testata regionale, ma questa se costituita con basi tanto compromesse, non potrà mai garantire il vero, libero e pieno esercizio del nostro lavoro. Voi meglio di chiunque altro dovreste riconoscere le realtà oscure e dolorose che si celano dietro determinate sirene. Molti di voi mi hanno raccontato orrori di vario genere, non posso credere che alcune tra le stesse persone poi si rendano loro malgrado complici di un prosieguo del baratro. Credo che la strada indicata al riguardo con l’impegno e con la fermezza da Carlo Parisi e da tutto il sindacato giornalisti della Calabria sia chiara: meglio la dignitosa e combattiva disoccupazione, che un’occupazione non retribuita, o lo sfruttamento o la manipolazione, il reclutamento in oscure logiche affaristiche e di potere. Su questo anche la Federazione Nazionale della Stampa, di cui Parisi è segretario aggiunto, è pronta a vigilare con ancora più piglio che in passato.

 

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