“Cattive acque”, lo scandalo del lago Alaco

“Cattive acque” in Calabria. In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, Legambiente ha pubblicato un dossier – “Storie di falde, fiumi e laghi inquinati” – sui più scandalosi casi di cattiva gestione in tutt’Italia. Per quanto riguarda la nostra regione Legambiente ha alzato i riflettori sul lago dell’Alaco, al confine tra le province di Catanzaro e Vibo Valentia, e sul lago Arvo-Ampollino a cavallo tra le province di Crotone, Cosenza e Catanzaro. Ecco il capitolo dedicato al lago Alaco.

La diga dell’Alaco, dalla cui realizzazione si è andato a formare l’omonimo lago artificiale, fu realizzata sulla fiumara nell’area della Lacina delle Serre vibonesi, tra i comuni di Badolato e Serra San Bruno; l’opera è servita, anche se non necessaria, per l’approvvigionamento dell’acqua di 88 comuni ricadenti nelle provincie di Vibo Valentia e Catanzaro. Completata dopo circa 40 anni e un’esosa quantità di denaro speso (con ben 6 varianti al progetto iniziale dal 1985 e ripetute sospensioni dei lavori che, nel complesso, hanno determinato nel 2002 l’accertamento da parte della Corte dei Conti di un danno erariale per 68 milioni di euro), l’opera, e la successiva gestione della risorsa idrica, hanno avuto fina da subito più ombre che luci. In una regione conosciuta da sempre per la disponibilità di acque sorgive, la vicenda legata all’inquinamento dell’Alaco e alle conseguenze per le circa 400mila persone ricadenti tra gli 80 comuni serviti, ha dell’incredibile. I problemi più grandi si registrano a partire dal 2006 quando la So.Ri.Cal, la società di risorse idriche calabresi (società mista compartecipata dalla Regione Calabria ed alla multinazionale francese Veolia), decide di ampliare l’impianto di potabilizzazione: da questo momento in poi si susseguono ordinanze di non potabilità emesse dai sindaci dei diversi comuni (spetta ai Comuni la distribuzione delle acque, mentre la raccolta ed il pompaggio spetta alla So.Ri.Cal.); nel 2010 l’Agenzia di protezione ambientale della Regione Calabria dimostra che l’inquinamento delle acque è da riferire direttamente alle condizioni del lago e non dalla rete. Rete idrica, per di più, la cui fatiscenza determina una dispersione di acqua che si aggira intorno al 57%. Tra le principali cause dell’inquinamento riscontrato, dovuto alla presenza di elevate concentrazioni di ferro e manganese, c’è la mancata bonifica dei terreni di quello che sarebbe diventato il fondale dell’invaso; infatti l’area non era idonea per il tipo di opera prevista a causa della presenza delle antiche cave borboniche per l’estrazione del ferro. La malagestione del territorio, fatta di corruzione, interessi privati, incuria e immobilità degli organi preposti ai controlli, hanno portato a lungo andare ad un ulteriore deterioramento della qualità delle acque utilizzate a fini potabili. Oltre ai metalli presenti, si è registrato un forte inquinamento batteriologico dovuto probabilmente alla presenza degli escrementi di animali lungo l’area dell’invaso, un forte degrado delle cisterne e degli impianti di depurazione e potabilizzazione delle acque e, come se non bastasse, una rete idrica con una elevata percentuale di perdite lungo il percorso. Il risultato finale di quest’insieme di criticità è arrivato fino alle case dei cittadini, che dai loro rubinetti hanno visto per anni sgorgare acqua dal forte sapore di cloro (utilizzato per la purificazione del fluido), spesso dal colore marrone (dovuto agli apporti terrigeni che si mescolavano alle acque potabili) e senza che gli organi preposti al controllo svolgessero le analisi minime previste dalla legge.Tutto questo ha portato nel maggio del 2012, dopo due anni di un’attività d’indagine condotta dagli investigatori della Procura di Vibo Valentia e denominata “Acqua sporca”, al sequestro da parte dei carabinieri dei Nas per carenze igienico – strutturali dell’acquedotto dell’Alaco e il relativo impianto di potabilizzazione; sono state riscontrati diversi problemi alla struttura ed in ben 57 apparati idrici, tutti collegati all’opera principale. Sempre a causa di carenze igieniche importanti, sono stati emanati 26 avvisi di garanzia, tra i reati a vario titolo contestati, troviamo avvelenamento colposo di acqua e frode in pubblica fornitura. Circa un mese fa, nel febbraio del 2015, si è conclusa invece l’operazione “Acqua sporca 2”, sempre coordinata dalla procura di Vibo Valentia” e dal risultato ugualmente scandaloso: dieci gli avvisi di garanzia scattati per funzionari pubblici e privati e la conferma che l’acqua dell’invaso dell’Alaco non è idonea al consumo umano. Dall’ultimo comunicato stampa di Legambiente Calabria sul tema si legge: «Pensavamo di aver raggiunto il fondo con l’inchiesta “Acqua sporca”, evidentemente ci sbagliavamo. Con la nuova indagine della magistratura denominata “Alaco 2”, che vede coinvolti sette funzionari della Regione Calabria e tre imprenditori delle società Sogesid di Roma e la Nautilus di Vibo, per avvelenamento colposo di acque, abuso d’ufficio, omissione d’ufficio e falso, rischiamo di non raggiungere mai il fondo di un bubbone ambientale e sanitario dai contorni inimmaginabili. Quattrocentomila persone, del vibonese e del catanzarese, vittime inconsapevoli – prosegue la nota – di un sistema ben collaudato di funzionari pubblici e imprenditori, per aggirare le leggi e arricchirsi. Si fa fatica a pensare come persone, che magari vivono pure in Calabria, abbiano potuto mettere a punto manovre di questo tipo. È come se avessero avvelenato se stessi avvelenando i figli e la comunità da loro frequentata. Un giro d’affari milionario che affiora dal giro vorticoso dell’acqua. Prima risorsa dell’uomo e, a quanto pare, ultima risorsa della commistione di pubblico e privato per speculare sulla pelle dei cittadini». E infine l’appello: «La Regione Calabria metta mano alla gestione degli invasi ed alla gestione dell’acqua pubblica in maniera efficiente ed efficace, sanando i disastri ambientali a cui la nostra terra continua ad essere oggetto e soggetto da persone di pochi scrupoli pur di arricchirsi ai danni dell’ambiente e della salute dei calabresi».

Legambiente (dossier “Cattive acque”)

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